“Ceronetti e Cioran. Amichevoli messaggeri dell’inesorabile” (Alessandro Seravalle)

Orizzonti Culturali Italo-Romeni – Rivista Interculturale Bilingue, ottobre 2018, anno VIII

Una confessione, per cominciare. Redigere un articolo in modo oggettivo intorno a questi due giganti del pensiero non allineato può risultare difficoltoso per chi, come lo scrivente, veda in entrambi due fari nel mare in tempesta, due salde boe cui aggrapparsi, un approdo sicuro. La recente scomparsa di Guido Ceronetti ha colpito duro e ci ha privato dell’ultima lanterna lasciandoci orfani, in brancolante smarrimento, consci che pensatori e, sopra ogni cosa, lenitori di tale levatura ben difficilmente solcheranno il nostro orizzonte prima che anche la nostra fioca luce precipiti nel buio.

Cioran e Ceronetti coltivarono un’amicizia che trova probabilmente la sua genesi nell’intensità con cui ambedue approcciarono alcune comuni tematiche-chiave del loro modo di guardare alla realtà, quasi un medesimo tono, una stessa vaga musica cui accordarsi. Aspetti quali l’articolazione tra illusione e delusione (nel senso etimologico riferito al latino ludere) mediata dalla lucidità, motore anche della loro tracimante e tuttavia caritatevole misantropia. E poi la visione della storia, aborrita sia dal romeno sia dal piemontese in particolare nelle sue insostanziali sfaccettature falsamente progressiste che i due non mancarono di smascherare con virulento sarcasmo.

Esistono, per altro, pagine dell’uno sull’altro. Uno dei capitoli degli Esercizi di ammirazione, intitolato L’inferno del corpo, del «filosofo-artista» transilvano (categoria in cui proprio Ceronetti inseriva Cioran) è dedicato al torinese che ha ricambiato con qualche articolo tra cui il commovente Cioran addio stilato in occasione della morte del maître à penser romeno. Le pagine cioraniane su Ceronetti finite nel succitato volume erano originariamente contenute in una lettera scritte al proprio editore in data 7 marzo 1983; in essa Cioran parla de Il silenzio del corpo, uno dei testi di riferimento del «filosofo ignoto», come Ceronetti amava definirsi. Sul finire dell’epistola si legge: «dà l’impressione di un uomo ferito, allo stesso modo, sarei tentato di aggiungere, di tutti coloro cui fu negato il dono dell’illusione. Non tema di incontrarlo: fra tutte le persone, le meno insopportabili sono quelle che odiano gli uomini. Non bisogna mai fuggire un misantropo!». Ecco emergere il tema dell’illusione sbarrata da un eccesso di lucidità e quello della peculiare forma caritatevole di misantropia. Gli fa eco Ceronetti nel già segnalato articolo Cioran Addio pubblicato da «La Stampa» nel 1995: «succede anche questo: che i migliori amici della società umana si reclutano spesso proprio in questi smilzi rinneganti rinnegatori. Chi denuncia che la peste c’è, salva; chi dice che si tratta di un raffreddore, assassina». Ci sono altri passaggi dello stesso articolo di grande interesse, come il seguente da cui fa capolino l’idea che non agli ottimisti ma ai lucidi convenga rivolgersi qualora si abbia bisogno di conforto e cura: «non sono certo le parole e le spalle degli ottimisti che possono fornire un aiuto quando il mal di vivere prende alla gola». Inequivocabile anche il seguente passo che Cioran avrebbe senz’altro sottoscritto: «credere nell’uomo è veramente l’idolatria più maledetta, il peccato dei peccati, l’errore degli errori». D’altronde Ceronetti aveva già spinto sul tasto della misantropia cioraniana in un articolo pubblicato sempre per «La Stampa» il 16 dicembre 1979 emblematicamente intitolato Cioran, misantropo appassionato.

Sin da questi brevi ritratti che si sono reciprocamente destinati, dunque, è possibile mettere a fuoco alcuni dei temi centrali delle rispettive opere.

Certamente è stato soprattutto l’italiano, di sedici anni più giovane, a scrivere sul romeno; memorabile la nota introduttiva a Squartamento il cui titolo, ancora una volta, non lascia adito a dubbi ed è capace di condensare in una formula icastica un intero mondo: Cioran, lo squartatore misericordioso. Una decina di pagine da cui emerge una descrizione intensa, tagliente, meravigliosamente nitida dell’uomo dei Carpazi. Agli occhi di Ceronetti Cioran è infatti «un metafisico. Ma non distante, non eterico, non enigmatico: un amico. Un antidoto contro le stregonerie, contro le intossicazioni del secolo. Leggerlo è avvertire la presenza di una mano tesa, afferrare una corda gettata senza timidezza, avere alla propria portata una medicina non sospetta». Cioran è uno psicoterapeuta, etimologicamente uno che guarisce, che si prende cura dell’anima. Un sostegno. Va rimarcato: un amico… [+]

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