“Cioran e Guitton” – Gianfranco RAVASI

Pubblicato col titolo: Cioran e Guitton nel cortile del dialogo, su IlSole24ORE, n. 157 (09/06/2019). Apud Pontificio Consiglio della Cultura.

È ormai da un decennio che è in azione il “Cortile dei Gentili” allestito dal Pontificio Consiglio della Cultura (un dicastero vaticano che, quando fu fondato da Paolo VI, era denominato «per i non credenti»), dedicato al dialogo tra persone che hanno una fede religiosa e altre che procedono senza riferimenti trascendenti, ma con un rimando a valori umani fondamentali. Il nome, voluto da papa Benedetto XVI, è desunto dallo spazio presente nel tempio di Gerusalemme al quale potevano accedere le gentes, i popoli diversi da quello ebraico, considerati da quest’ultimo idolatri, in pratica atei, nonostante l’ovvia appartenenza a un’altra fede.

Ebbene, in questa pagina apriamo ora un ideale “Cortile” incrociando due figure molto note e già altre volte da noi evocate. Il primo è Emil Cioran, rumeno emigrato a 26 anni, nel 1937, a Parigi, ove rimarrà sino alla morte nel 1995. Autodichiaratosi della «razza degli atei», confessava però di «essersi sempre aggirato attorno a Dio come un delatore: incapace di invocarlo, l’ho spiato». Proprio per questo talvolta si trovava spiazzato: «Quando si ascolta Bach, vedete nascere Dio. Dopo un oratorio o una sua cantata o una Passione, Dio deve esistere».

Si comprende, allora, perché lo scrittore sia stato ripetutamente in dialogo epistolare con teologi della sua terra d’origine. È il caso di George Bălan, che era anche musicologo, col quale scambiò 53 missive tra il 1967 e il 1992, tradotte in italiano da Mimesis nel 2017. La stessa editrice presenta ora la corrispondenza con Petre Ṭuṭea (1902-1994), un intellettuale conosciuto quando vivevano entrambi a Bucarest, il «solo vero genio che io abbia mai incontrato… Un misto di don Chisciotte e di Dio». A differenza di Cioran, egli è vigorosamente credente al punto tale da scrivere: «Senza Dio, l’uomo rimane un povero animale razionale e parlante, che proviene dal nulla e va verso il nulla».

Vero e proprio monaco laico, Ṭuṭea, perseguitato in patria dal regime comunista, terrà sempre alto il vessillo della sua fede, e questo dialogo epistolare che comprende 9 lettere di Cioran e 4 del suo amico, pur nelle divagazioni biografiche, rivela in filigrana i fremiti spirituali profondi che li unisce, pur nella distanza abissale dei percorsi. Il sentiero di Cioran si snoda, infatti, nel nadir tenebroso del pessimismo scettico, ininterrottamente affacciato sulla voragine del nichilismo; quello del suo interlocutore si sviluppa, invece, sotto lo zenit solare del divino. Eppure tra loro intercorreva, come spiega il curatore Antonio Di Gennaro nella sua ricca «non-prefazione», «un’affettività pura, intesa come simpatia, empatia, sinergia», all’insegna della comune inquietudine dagli sbocchi però antitetici. Come affermava Ṭuṭea, «Cioran nel suo lirismo potrebbe incontrare il mio misticismo».

Il fascino di questo dialogo a distanza, così esile e persino cronachistico, rivela squarci sorprendenti che catturano il lettore, al quale suggeriamo in particolare l’ultimo scritto, datato 3 marzo 1991 da Bucarest. Sarebbe suggestivo immaginare la reazione di Cioran di fronte a queste righe così radicalmente “cristiane”, così assolute nello sguardo oltre la frontiera della morte ormai imminente («sono vecchio, malato e triste, preoccupato per l’avvicinarsi della morte»), così serene perché «ciò che mi consola non è la gloria, forma illusoria di immortalità, ma l’immortalità religiosa».

A questo che è, in realtà, già un “Cortile dei Gentili” con due voci alte, nobili, dissonanti eppur armoniche come un duetto tra un basso e un soprano, accosto ora – in un nuovo ideale confronto – la seconda figura, “rocciosamente” credente, il filosofo francese Jean Guitton, morto vent’anni fa a 98 anni, amico e corrispondente di Paolo VI. Quello che ora proponiamo è un saggio sul suo pensiero, còlto nella triade uomo-tempo-Dio. Sono tre assi capitali di una visione che ha il suo snodo nella figura di Cristo. Egli riesce a intrecciare in sé in contrappunto tempo ed eternità, proprio per la duplicità della sua natura umana e divina (non per nulla nella sua vasta produzione, comprendente quasi 160 volumi, il filosofo ha pubblicato un Gesù tradotto da Marietti nel 1963, Il Cristo della mia vita, edito dalla San Paolo nel 1988, e un discusso e tormentato Cristo dilacerato, in italiano presso Cantagalli nel 2002)… [+]

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